Oggi un bitcoin, cioè un’unità della più popolare criptovaluta al mondo, vale poco meno di ottomila dollari. Cinque anni fa, ne valeva circa 13: significa che il suo valore è aumentato di oltre 600 volte. Ma l’aumento esponenziale del valore dei bitcoin non è stato graduale, come ha dimostrato il recente nuovo interesse dei media internazionali: soltanto un anno fa, infatti, un bitcoin valeva circa 1.000 dollari. Ha superato i 2.000 dollari soltanto a maggio del 2017, e alla fine dell’anno ha sfiorato i 20mila dollari, prima di subire diversi gravi crolli e assestarsi sul valore attuale.
Da diversi mesi si è tornati a parlare moltissimo di Bitcoin (la maiuscola si usa solitamente per indicare il sistema, la minuscola per la valuta): di cosa sono, di come funzionano, del loro utilizzo, di quanto sia rischioso investirci e di quanto durerà questo aumento di valore. Ne abbiamo scritto molto sul Post in questi anni, ma abbiamo deciso di raccogliere un po’ di risposte a queste domande in un posto solo: questo.
Breve storia dei Bitcoin
Non si sa chi abbia inventato i bitcoin: l’inventore viene chiamato Satoshi Nakamoto, ma è un nome di fantasia che finora ha garantito anonimato alla persona o alle persone che li crearono nel 2009. Nel tempo sono state fatte molte ipotesi – la più famosa nel 2014 da Newsweek – ma non si è ancora scoperto niente di certo. Nakamoto voleva creare un nuovo sistema di valuta elettronico senza nessun tipo di autorità centrale: ci riuscì e nel 2010 sostanzialmente sparì, sfilandosi completamente dal sistema che aveva creato.
Cosa sono i Bitcoin
Premessa scontata, ma facciamola: il valore che attribuiamo al denaro è frutto di una convenzione. Una banconota – da 5, 50 o 500 euro – è un pezzo di carta: se possiamo usarlo per ottenere in cambio beni ben più complessi di un pezzo di carta è perché siamo tutti d’accordo sul valore che riconosciamo a quel pezzo di carta. Una banconota da 500 euro non vale intrinsecamente dieci volte una da 50: abbiamo semplicemente deciso così. Perché le cose cambino, basta che decidiamo diversamente.
Veniamo ai bitcoin. I bitcoin sono una moneta digitale che gli utenti conservano in portafogli virtuali, e possono essere usati per fare pagamenti verso negozi o società che li accettano (ci sono), per trasferire denaro ad altri utenti, o semplicemente possono essere conservati sperando che aumentino di valore. Quanto vale un bitcoin? Ci arriviamo, ma diciamo che lo decide il mercato: e non c’è il pezzo di carta, al contrario degli euro.
La differenza con le normali valute è che Bitcoin risolve un gran numero di problemi che si hanno normalmente nelle transazioni economiche online. Non c’è infatti un’autorità centrale che controlli i bitcoin: niente banche, organizzazioni o società che ne gestiscano i flussi e il valore. Questo fa sì che non ci sia una terza parte coinvolta nelle transazioni: quindi niente commissioni a Visa, Mastercard, Western Union, eccetera, e niente rischi che questi enti subiscano attacchi informatici che sottraggano numeri e codici di carte di credito.
Come funzionano le transazioni su Bitcoin
Qui le cose cominciano a farsi più complicate. I Bitcoin funzionano sulla base di un protocollo peer-to-peer, simile quindi ai sistemi utilizzati per esempio per scaricare e condividere i file online, quelli in cui ogni computer diventa un nodo della rete alla pari con gli altri senza nodi centrali. Ogni utente di Bitcoin è connesso con tutti gli altri e detiene una copia di una sorta di libro mastro – cioè un documento in cui sono contenuti tutti i conti di un sistema contabile – chiamato blockchain (catena di blocchi). Nel blockchain sono registrate tutte le transazioni di tutti gli utenti di sempre, da quando sono nati i Bitcoin.
Questo meccanismo è alla base della soluzione di Nakamoto al problema di verificare che le transazioni economiche online, senza autorità centrali a controllarle, siano regolari: e quindi che i destinatari dei pagamenti non imbroglino i mittenti, o che gli utenti non paghino con soldi che in realtà non possiedono. È la blockchain a fare quello che normalmente fa una banca: rimuovere dal conto dell’utente che spende i soldi la quantità giusta di denaro, e assicurarsi che non possa spendere più soldi di quanti ne possiede.
Nel sistema Bitcoin, tutti gli utenti verificano tutte le transazioni: quando c’è un trasferimento di bitcoin, a tutti i dispositivi collegati viene sottoposto un problema crittografico che richiede un enorme numero di prove per essere risolto. Non serve che tutti i computer lo confermino: quello che per primo trova una soluzione al problema emette un avviso per gli altri.
Più o meno sei volte all’ora viene creato un nuovo “blocco” di transazioni confermate, che viene aggiunto alla blockchain generale. Una transazione su Bitcoin, quindi, è registrata soltanto quando è effettivamente avvenuta, ed è registrata nell’unico posto che tiene il conto di quanti bitcoin esistono e a chi appartengono. In questo modo si impedisce che gli utenti possano spendere più volte gli stessi bitcoin, perché il fatto che siano già stati spesi è registrato sulla blockchain in possesso di chiunque usi Bitcoin. Imbrogliare questo sistema falsificando bitcoin è molto complicato, praticamente impossibile.
Tutte queste operazioni avvengono “all’oscuro” delle persone davanti al computer: è un calcolo che il programma fa autonomamente seguendo input casuali generati dal protocollo. I proprietari di bitcoin sono anonimi, e identificati soltanto da un codice. Ogni transazione è identificata da una chiave pubblica, che identifica il ricevente e che è usata da tutti i dispositivi del sistema per verificare l’operazione, e da una chiave privata, che serve agli utenti coinvolti ad autorizzare la transazione. Se si perde la chiave privata, si perdono i soldi: è successo, anche con somme da milioni di dollari. Se non è praticamente possibile falsificare bitcoin, è possibile rubarli: è capitato in passato, ma ora sembra sia tutto molto più sicuro.
L’estrazione
Il sistema Bitcoin distribuisce nuova valuta – nuovi bitcoin – tra gli utenti che con i loro dispositivi contribuiscono ai calcoli necessari a confermare le transazioni, e quindi a mantenere la valuta attiva e sicura. Quando c’è una nuova transazione, questi utenti – detti miners, estrattori – provano a risolvere il problema crittografico, trovando quell’unico numero in grado di confermarlo e di aggiungere la transazione alla blockchain. Il primo che risolve il problema invia la soluzione agli altri nodi della rete, che la confermano: a quel punto riceve il premio in bitcoin. Più un utente contribuisce al sistema in termini di potenza di calcolo, più è probabile che riceva in cambio bitcoin.
L’evoluzione e l’ingrandimento del sistema Bitcoin ha fatto sì che oggi partecipare attivamente alle operazioni che confermano le transazioni richieda una grandissima potenza di calcolo, che non può essere fornita da normali computer, come succedeva all’inizio della valuta. Per questo, esistono centri specializzati: sono grandi capannoni in cui ci sono migliaia di computer, raffreddati da imponenti impianti di ventilazione.
Questo processo è chiamato estrazione, o mining, e recentemente si è iniziato a discutere del suo impatto ambientale. Questi centri infatti consumano una grande quantità di energia: in totale attualmente i processi di estrazione consumano annualmente più energia di interi stati di piccole dimensioni, tipo l’Irlanda, e circa lo 0,8 per cento dell’energia consumata negli Stati Uniti.
Come si calcola quanto valgono i bitcoin
Il valore dei bitcoin è dettato dalla domanda e dall’offerta: e cioè da quanto sono disposte le persone a pagarli. Il prezzo di un bitcoin è calcolato sulla base del valore al quale è scambiato con le normali valute: in pratica, un bitcoin ha un valore soltanto perché gli utenti del sistema sono d’accordo che ce l’abbia.
Una particolarità del sistema Bitcoin è che il numero totale delle unità prodotte è prestabilito: ne verranno emesse fino ad avvicinarsi alla quantità totale di 21 milioni, presumibilmente nel 2030, senza mai raggiungerla. Questo è permesso dal fatto che ogni quattro anni il numero di bitcoin emessi viene dimezzato, così come la quantità di moneta distribuita a chi scopre i nuovi blocchi da aggiungere alla blockchain.
Il pericolo d’inflazione della valuta – cioè della sua perdita di valore – è quindi minimo, perché non è previsto che possano essere effettuate nuove iniezioni di denaro da un ente come una Banca centrale, che del resto nel sistema non esiste. Anzi, man mano che si avvicinerà quella data, se continuerà ad aumentare la richiesta, ci sarà un processo di deflazione, per via della sempre minore disponibilità della valuta.
Come si comprano i bitcoin
La maggior parte delle persone che investe in bitcoin lo fa comprando quelli già esistenti, e partecipando al processo di estrazione. Si possono comprare e conservare su molti siti, il più famoso dei quali è Coinbase. È molto semplice, e si può iniziare subito a spenderli nei negozi online e per i servizi che li accettano, che sono sempre di più.
Perché sono aumentati di valore
La risposta breve è che non c’è un’unica spiegazione. E la premessa da fare è che i bitcoin rimangono un investimento molto rischioso, perché il loro valore è da sempre volatile: come ha dimostrato il crollo più recente. Era già successo due volte in passato che i bitcoin aumentassero molto di valore – mai nemmeno lontanamente come è successo nelle ultime settimane – e questi picchi erano sempre stati seguiti da cali molto repentini. È dai primi mesi del 2017 che gli analisti avvertono che è solo questione di tempo prima che ricapiti: fino a questa settimana non era ancora successo, e anche dopo il crollo il loro valore è rimasto altissimo, rispetto a un anno fa. In molti si sono pentiti di non averci investito tempo fa.
L’aumento di valore dell’anno scorso è stato dovuto, tra le altre cose, al fatto che la borsa di Chicago ha iniziato a permettere di scambiare titoli futures – contratti che permettono agli investitori di “scommettere” sul valore di qualcosa – basati sui bitcoin, una decisione interpretata come un importante “sdoganamento” della valuta, fino ad allora molto osteggiata dall’establishment finanziario. L’annuncio della borsa di Chicago si è unito a un miglioramento della reputazione dei bitcoin che già era in corso, e che aveva provocato sempre maggiori interessamenti da parte degli investitori, rassicurati anche dalla sempre maggiore sicurezza del sistema.
Un tempo i bitcoin erano associati a transazioni al limite della legalità, quando non del tutto illegali, e in particolare al sito Silk Road, dove si poteva acquistare di tutto, dalla droga a servizi sessuali alle armi. Con il tempo Bitcoin è riuscito a scrollarsi di dosso questa fama: questo, unito al fatto che i bitcoin sono un numero finito, ha generato una “corsa” degli investitori che hanno cercato di accaparrarseli nel timore di rimanere esclusi da questo mercato.
Bitcoin è l’unica criptovaluta?
No, ce ne sono molte, come Ethereum, Ripple e Litecoin. Bitcoin rimane però la più forte, perché è la più conosciuta e la più sicura.
È tutta una bolla?
Ciclicamente si torna a parlare del rischio “bolla” dei bitcoin: e l’ultimo crollo ha riportato al centro delle discussioni questa teoria. Alcuni ritengono che il livello del loro prezzo non sia sostenibile sul lungo periodo e che sia destinato a crollare definitivamente. Altri parlano della “fine dei bitcoin” e gli esperti di criptovalute spesso scherzano sulla quantità di volte in cui la stampa ha annunciato la loro morte. Questi avvertimenti spesso provengono dai banchieri, che però sono in genere ostili alle criptovalute perché tagliano fuori le banche dalla possibilità di intermediazione.
Mesi fa l’amministratore delegato della banca d’affari JP Morgan Jamie Dimon, uno dei banchieri più famosi e potenti di Wall Street, aveva detto che i bitcoin sono una truffa e un sistema di scambio buono solo per le attività criminali. Quasi tutte le grandi banche internazionali hanno però gruppi di trader e analisti incaricati di fare scambi e studiare il fenomeno dei bitcoin e le sue possibili applicazioni.
Anche molti professori di economia sono scettici sul futuro della criptovaluta. Kenneth Rogoff, che ha lavorato per il Fondo Monetario Internazionale e oggi insegna ad Harvard, sostiene che il prezzo dei bitcoin sia agganciato soltanto alle speranze che hanno gli investitori sui suoi futuri aumenti di valore. Più che come una moneta, quindi, i bitcoin si comporterebbero come una “commodity”, una materia prima come il grano o il petrolio, il cui valore può cambiare anche molto in seguito alle aspettative del mercato.
Prima del crollo iniziato a gennaio del 2018, però, il valore dei bitcoin non aveva fatto che aumentare e molte persone che li avevano acquistati o estratti quando valevano pochi dollari sono diventati “ricchi” in seguito alla costante crescita del loro prezzo. I sostenitori delle criptovalute sostengono invece che la loro continua crescita di valore sia un segno che queste monete sono destinate a restare e a ricoprire un ruolo sempre più importante nelle nostre economie.
FONTE: ILPOST