In pensione a 64 anni con 36 di contributi, oppure con 41 o 42 anni di contributi a prescindere dall’età. Proroga della pensione contributiva per le donne, con 57 anni d’età e 35 anni di contributi, e un’ulteriore proroga per gli esodati, che potranno continuare a pensionarsi alle condizioni precedenti alla Legge Fornero, con i soli adeguamenti alla speranza di vita. Sono queste le principali novità promesse dal nuovo Governo in materia di pensioni, attese con ansia da moltissimi lavoratori che sono stati allontanati dall’uscita dal lavoro a causa delle regole vigenti dal 2012 in poi. Ma a quando la nuova riforma pensioni? Le nuove pensioni flessibili dovrebbero essere attuate con la nuova legge di bilancio, quindi dovrebbero entrare in vigore dal 2019. Il problema, perché la riforma pensionistica possa essere attuata, riguarda lo stanziamento delle risorse: è stato difatti stimato che, solo per attuare l’intervento relativo alla pensione anticipata quota 100, debbano essere stanziati oltre 4 miliardi di euro. Ma procediamo per ordine e cerchiamo di fare il punto della situazione: come sarà la riforma delle pensioni, che cosa cambia, chi ci guadagna.

Pensione anticipata quota 100

La più attesa, tra le nuove pensioni, è la pensione anticipata quota 100. Questa pensione prevede la possibilità di uscire dal lavoro quando la quota, cioè la somma di età e contribuzione posseduta dal lavoratore, è pari a 100. Non tutti coloro la cui quota è pari a 100, comunque, potranno pensionarsi con la quota 100, ma potrà ottenere il trattamento, in base alle più recenti proposte sinora rese note, solo chi possiede un requisito di età minimo pari a 64 anni e di contribuzione pari a 36 anni.

Niente pensione, quindi, per chi ha la quota 100 con 60 anni di età e 40 anni di contributi, né per chi possiede 35 anni di contributi e 65 anni di età: occorrerà rispettare sia il requisito minimo di età, che di contribuzione.

Come si calcola la quota 100?

Per quanto riguarda il calcolo della pensione quota 100, nelle più recenti proposte è stato previsto il ricalcolo contributivo, per le annualità che partono dal 1996. Non si tratta di un calcolo contributivo dell’intero trattamento, dunque, ma di un calcolo parziale, delle sole quote di pensione dal 1° gennaio 1996 in poi. Questa novità non cambierà nulla per quei contribuenti che hanno diritto al calcolo misto della pensione (retributivo sino al 31 dicembre 1995, poi contributivo, in quanto possiedono meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995), ma potrebbe portare delle penalizzazioni tutt’altro che irrilevanti per chi, possedendo almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, ha diritto al calcolo retributivo della prestazione sino al 31 dicembre 2011.

Nella generalità dei casi, il calcolo contributivo della pensione risulta infatti penalizzante, rispetto al calcolo retributivo, perché, mentre quest’ultimo si basa sugli ultimi redditi, o sui redditi migliori, il calcolo contributivo si basa sui contributi effettivamente accreditati nell’arco della vita lavorativa. Nel calcolo retributivo si prendono in considerazione gli stipendi, che vengono rivalutati con appositi coefficienti, mentre col calcolo contributivo si prendono in considerazione i soli contributi, che vengono rivalutati secondo l’andamento del Pil italiano (quindi gli incrementi del capitale sono molto bassi).

Tuttavia, ci sono dei casi in cui conviene maggiormente il calcolo contributivo, rispetto al retributivo: questo accade, ad esempio, quando la gestione Inps presso cui è iscritto il lavoratore prende in considerazione non i redditi migliori, ma gli ultimi anni di reddito o retribuzione, e la media delle ultime retribuzioni crolla al termine della vita lavorativa.

Una differente proposta prevede il calcolo integralmente contributivo della pensione per chi richiederà la quota 100: in questo caso la convenienza del trattamento sarebbe effettivamente molto limitata, ma la quota 100 risulterebbe meno impattante sia come numero di domande di pensione, sia per quanto riguarda gli assegni da stanziare.

Pensione anticipata quota 41 e quota 42

Un’altra proposta prevede la possibilità di ottenere la pensione con 41 o 42 anni di contributi, senza limiti di età: si tratta della cosiddetta pensione anticipata quota 41 o quota 42.

Ad oggi, la possibilità di ottenere la pensione con 41 anni di contribuzione esiste già, ma è riservata ai lavoratori precoci appartenenti a categorie svantaggiate.

I lavoratori precoci sono coloro che possiedono almeno 12 mesi di contributi versati prima del 19° anno di età, che possono ottenere la pensione anticipata con 41 anni di contributi, se appartengono a una delle categorie salvaguardate: disoccupati, invalidi in misura almeno pari al 74%, caregiver (coloro che assistono, da almeno 6 mesi, un familiare entro il 2° grado convivente, con handicap grave) e addetti ai lavori gravosi e usuranti.

Per ciascuna di queste categorie sono previsti dei requisiti specifici, al fine di ottenere la pensione anticipata precoci. Per chi perfeziona i requisiti richiesti entro il 31 dicembre 2018, c’è tempo sino al 1° marzo 2019 per inviare la domanda, anche se potranno essere prese in considerazione domande tardive sino al 30 novembre 2019. Per chi perfeziona i requisiti richiesti entro il 31 dicembre 2019, ci sarà tempo sino al 1° marzo 2020 per inviare la domanda, e resterà aperta la valutazione delle domande tardive sino al 30 novembre 2020, e così via, di anno in anno, in quanto il beneficio è strutturale. Dal prossimo anno i requisiti aumenteranno in misura pari a 5 mesi.

Con la nuova pensione anticipata quota 41 o quota 42, si punta ad estendere il trattamento a tutti i lavoratori, anche non precoci e non appartenenti alle categorie svantaggiate.

Proroga opzione Donna

Uno degli interventi che si vorrebbero attuare nel 2019 consiste nella  proroga dell’opzione donna, una speciale pensione agevolata dedicata alle sole lavoratrici, che possono anticipare notevolmente l’uscita dal lavoro in cambio del ricalcolo contributivo della prestazione.

Ad oggi, per potersi pensionare con opzione donna devono essere rispettati precisi requisiti di età:

  • per le lavoratrici dipendenti, è necessario aver raggiunto 57 anni e 7 mesi di età entro il 31 luglio 2016, e 35 anni di contributi al 31 dicembre 2015; dalla data di maturazione dell’ultimo requisito alla liquidazione della pensione è prevista l’attesa di un periodo, detto finestra, pari a 12 mesi;
  • per le lavoratrici autonome, è necessario aver raggiunto 58 anni e 7 mesi di età entro il 31 luglio 2016, e 35 anni di contributi al 31 dicembre 2015; dalla data di maturazione dell’ultimo requisito alla liquidazione della pensione è prevista l’attesa di un periodo di finestra pari a 18 mesi.

In pratica, possono ottenere la pensione le dipendenti che hanno compiuto 57 anni e le autonome che hanno compiuto 58 anni entro il 31 dicembre 2015, se possiedono 35 anni di contributi entro la stessa data.

Con la proroga dell’opzione donna si vorrebbe far diventare strutturale questo trattamento, rendendo così possibile ottenere la pensione per tutte le lavoratrici con un minimo di 57 anni e 7 mesi (o 58 anni e 7 mesi) di età, eventualmente adeguabili all’aspettativa di vita, e 35 anni di contributi.

Alcune proposte parlano invece di un’età più elevata per accedere all’opzione donna, pari a 63 anni, ma con minori penalizzazioni legate al calcolo della pensione.

Nona salvaguardia

Tra i vari interventi previsti per il 2019, volti a limitare le conseguenze negative della Legge Fornero, è stata ipotizzata anche la proroga degli interventi di salvaguardia.

In particolare, dovrebbe essere attuata una nona salvaguardia per consentire la pensione con le vecchie regole, cioè con le regole precedenti all’entrata in vigore della Legge Fornero: di anno in anno, a partire dal 2012, data di entrata in vigore della Riforma Fornero, si sono difatti succeduti otto decreti di salvaguardia.

La nona salvaguarda dovrebbe tutelare le stesse categorie beneficiarie dell’ultima salvaguardia, ossia:

Ape volontario 2019

Nel 2019 potrà ancora essere richiesto, comunque, l’Ape volontario, ossia l’anticipo pensionistico che consente l’uscita dal lavoro con 3 anni e 7 mesi di anticipo rispetto alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia.

L’Ape volontario è ottenuto grazie a un prestito bancario, il cosiddetto prestito pensionistico, un finanziamento che deve essere restituito in 20 anni, una volta perfezionati i requisiti per la pensione.

Il trattamento è esentasse: ciò significa che l’assegno ricevuto mensilmente a titolo di Ape non ha trattenute tributarie, non essendo gravato dalle imposte.

L’Ape volontario, al contrario dell’Ape sociale, cioè all’anticipo a carico dello Stato, non è uguale alla futura pensione (con il tetto massimo di 1500 euro), ma può arrivare:

  • al 75% dell’importo mensile del trattamento pensionistico, se la durata di erogazione dell’Ape è superiore a 36 mesi;
  • all’80% dell’importo mensile del trattamento pensionistico, se la durata di erogazione dell’Ape è superiore a 24 e pari o inferiore a 36 mesi;
  • all’85% dell’importo mensile del trattamento pensionistico, se la durata di erogazione dell’Ape è compresa tra 12 e 24 mesi;
  • al 90% dell’importo mensile del trattamento pensionistico, se la durata di erogazione dell’APE è inferiore a 12 mesi.

L’Ape volontario determina un taglio della futura pensione: la penalizzazione non è soltanto dovuta ai costi di restituzione di prestito pensionistico, ma anche all’assicurazione obbligatoria per il rischio di premorienza e al contributo per il fondo di garanzia.

Addio all’Ape sociale

Non sarà invece prorogato l’Ape sociale, cioè l’anticipo pensionistico a carico dello Stato. L’ultima possibilità di inviare le domande per quest’agevolazione scade il 15 luglio 2018, ma si possono inviare domande tardive sino al 30 novembre 2018. Per sapere quali sono i requisiti necessari per accedere all’agevolazione: Ape sociale, i requisiti.

Pensione per gli addetti ai lavori usuranti e notturni

Restano infine invariati, nel 2019, i requisiti per accedere alla pensione agevolata a favore degli addetti a mansioni usuranti e turni notturni. Questa pensione di anzianità, lo ricordiamo, si può raggiungere con un minimo di 35 anni di contributi e di 61 anni e 7 mesi di età.

Nel dettaglio, per ottenere la pensione di anzianità, è necessario che il lavoratore maturi i seguenti requisiti, validi sino al 31 dicembre 2026 (non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita):

  • quota pari a 97,6, con:
    • almeno 61 anni e 7 mesi d’età;
    • almeno 35 anni di contributi.

Dalla maturazione dei requisiti alla liquidazione della pensione non è più necessario attendere la cosiddetta finestra, pari a 12 mesi per i dipendenti e a 18 mesi per gli autonomi, perché è stata abolita dalla Legge di bilancio 2017.

Se l’interessato possiede anche contributi da lavoro autonomo, i requisiti sono aumentati di un anno.

Hanno diritto alla pensione d’anzianità anche i lavoratori adibiti a turni notturni, ma le quote sono differenti a seconda del numero di notti lavorate nell’anno.

Per saperne di più: Pensione addetti ai lavori usuranti ed ai turni notturni.

Pensione di vecchiaia e anticipata 2019

Dovrebbero comunque restare invariate, col solo aumento di 5 mesi dei requisiti legati alla speranza di vita, le pensioni di vecchiaia ed anticipata. Per sapere, nel dettaglio, come cambieranno i requisiti nel 2019: Pensione 2019 che cosa cambia.

FONTE

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.